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Albino

Trovai Albino per strada. Era stato abbandonato, o forse si era perso, ritengo fosse più probabile l’abbandono.  Anche se, a dire la verità, negli anni '80 meno regole, meno problemi, più semplicità….i cani non avevano il collare, in campagna erano liberi di andare e venire...poi tornavano a casa loro.

Ma Albino no, non aveva più una casa, perché girava con lo sguardo di chi cerca qualcosa, di chi aspettava, fiero e libero, che qualcuno si accorgesse di lui. Era un meticcio spinone…..bianco. Lo trovai mentre tornavo dall’allenamento di calcio, era verso sera. 
Ci guardammo, lo chiamai, mi seguì. Il suo passo felice dietro di me era speciale. Era il mio cane, lo fu subito. Lo chiamai Albino in onore al fatto che era bianco bianco. 

Una volta a casa mia madre storse il naso….fra cani e gatti in campagna c’era sempre qualcuno in più cui dare da mangiare e occhi ovunque che ti cercano. 
Noi avevamo le galline, i maiali, gatti e un casoin, un negozietto di alimentari dove la gente comperava latte pane salumi formaggi…Prima ancora nonno Amedeo aveva un bar, al posto del casoin, e vendeva anche le sigarette singole, le nazionali, senza filtro. Avevamo il telefono pubblico, col bar del nonno, e la gente veniva a telefonare e a vedere le partite di calcio. Il gatto una volta rubò le sarde sul davanzale della finestra, a mia madre…le cucinava divinamente, le sarde,…e si arrabbiò molto, ma il gatto era già lontano. 

Albino non se ne andò. 
Io lo legai ad una corda, e andai a dormire. La mattina dopo volevo fosse ancora lì, non volevo andasse via. Mio padre aveva il turno in ospedale fino alle dieci di sera e quando tornò tagliò la corda, cercando di  allontanare Albino. 
La mattina quando mi svegliai corsi fuori mentre mia mamma gridava che dovevo fare la colazione….quando vidi la corda tagliata mi prese un tuffo al cuore…pensavo che fosse scappato.
Ma Albino era rimasto lì, ad aspettarmi. Ero felice, avevo un cane. 
Albino era mio, e io ero suo. Ho un fratello gemello, ma Albino era solo per me. Aveva una particolarità: mi accompagnava ogni mattina alla fermata del pullman per andare a scuola, e all’una, quando scendevo, era lì ad aspettarmi. Ogni giorno, verificava che io salissi su quel pullman e che dopo tornassi a casa da lui. Io guardavo dal vetro posteriore il suo ciuffo bianco, lui guardava i miei capelli color carota. E poi tornava a casa. Lo avrei rivisto all’una. 

Dopo qualche anno andai a lavorare, non finii gli studi e andai presto in fabbrica, non erano tempi per fare i bocciati mantenuti, quelli, e non appena mio padre vide la mia intemperanza scolastica, mi mandò a lavorare. Trovai un lavoro in un posto vicino a casa, ed avevo la pausa pranzo. Così tornavo a casa ed avevo una o due ore di pausa, non ricordo bene oggi. Mangiavo e poi mi sedevo fuori, dove ora il casotto di mia sorella contiene gli attrezzi dell’orto…. lì c’era una specie di fioriera di legno dove mi sedevo al sole, anche in inverno, e tenevo Albino in braccio. 
Lo accarezzavo finché non era ora di andare a lavoro, stavamo insieme, in silenzio. Era un cane davvero intelligente, e mi amava molto. Non ricordo esattamente come morì, ma fu di vecchiaia. 

Crescendo i miei ricordi di lui si smarriscono un po'….le ragazze, il calcio, la macchina, il lavoro…fanno perdere di vista le cose care. 
Ora, se ripenso ad Albino, piango. C’e un momento particolare nella crescita della vita, dove gli animali e i bambini sono uguali…poi noi cresciamo, mentre loro restano i nostri cuccioli, restano bambini. E noi ci dimentichiamo un po' di loro…
Ed è questo che mi manca di più…mi manca la possibilità di tornare a casa e l’aspettativa gioiosa di rivedere il mio Albino, come la cosa più felice e serena della mia giornata di ragazzino.
Margherita Zoni.

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