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CHE SIAMO IN EQUILIBRIO SULLA PAROLA INSIEME

 

 


Ricordo quando andavamo ai giardini, io e te, da bambini, e ci piaceva tanto giocare su quella giostra ove si stava in equilibrio, in alto, solo se si pesava uguale.
Tu pesavi sempre meno, perché eri una bambina, e non riuscivamo mai a stare su insieme se non per qualche secondo. E mi gridavi: “togliti il giubbotto!”, “togliti le scarpe!”, perché io pesassi meno..
Inevitabilmente calavo giù io, e per dispetto ti lasciavo su a lungo, finchè non ti arrabbiavi davvero. Allora con una spinta salivo e tu, bambina, scendevi dalla giostrina guardandomi indispettita.
Poi mi aspettavi, e andavamo sulle altalene, dove l’equilibrio era solitario ed autonomamente ricercato.
Ora sei più pesante di me, hai avuto tre gravidanze, tre figli meravigliosi, di cui solo due sono con noi ora. Il peso degli anni e delle sconfitte si è attaccato al tuo corpo come il guscio di una cozza, nero e rasposo, per rendere più gravoso il tuo incedere.
Io sono grigio e sordo, cammino col bastone, un baccalà dimenticato ad asciugare da troppi anni, magro come ero anche da giovane, quando mi correvi incontro scendendo dal treno che ti riportava da Padova, fresca di studi e di speranze, coi libri nello zaino e i capelli al vento, ed io ti baciavo gli occhi.
Sei infine diventata medico, ma questo non ci ha impedito di perdere Lorenzo a 10 anni, di leucemia.
Dopo Lorenzo, qualcosa dentro di te ha smesso di fare luce, ed il nostro cammino è diventato grigio, crepuscolare: perché io usavo la tua luce per camminare, lo sai.
Viviamo sempre qui, nella nostra città, nel nostro quartiere, dove sono cresciuti i nostri altri figli, dove la loro vita sta generando altra vita, dove ancora insistono i nostri giardini a fiorire, con le loro giostrine che sfidano gli anni.
Forse per questo ogni sera prima del buio mi prendi per mano e mi porti qui, ai giardini di viale Garibaldi, vicino alla nostra giostra, dove siamo sempre rimasti, in equilibrio sullo scorrere del tempo.
Margherita Zoni.

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